mercoledì 10 luglio 2013

"IL FUMO DI SATANA IN VATICANO" MA....SON PASSATI 35 ANNI DA QUANDO LO DISSE PAOLO VI

Rivelazione di un amico di monsignor Scarano
    da ilmattino.it di Valentina Errante


ROMA Come nei film, con le valigie piene di lingotti d’oro caricate su due furgoni. Lo sfondo è la basilica di San Pietro e a raccontare l’episodio, in un verbale agli atti dell’inchiesta sullo Ior e sugli affari di Nunzio Scarano, è Massimiliano Marcianò, amico intimo del monsignore finito in manette. Il verbale è stato trasmesso a Roma dalla procura di Salerno, che per prima ha avviato l’indagine sull’ex cassiere dell’Apsa, Amministrazione del patrimonio immobiliare della Santa sede, che funziona come una banca e ha un giro d’affari superiore all’Istituto opere di religione.

I LINGOTTI

La testimonianza di Marcianò, general manager di Events & Travels, è stata raccolta dalla procura di Salerno che ha iscritto il monsignore sul registro degli indagati per riciclaggio. Giovedì, Marcianò, più volte intercettato durante le indagini, davanti ai pm e ai militari del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finzanza di Salerno, ha dichiarato: «Mi trovavo con Scarano nel piazzale antistante il Vaticano ho visto che venivano caricate delle valigie piene di lingotti d’oro a bordo di due furgoni. Ho chiesto spiegazioni a Scarano: ma voi abitualmente fate queste cose? ho detto. Lui non mi ha risposto».

I DOSSIER
A verbale Marcianò racconta anche che Scarano gli aveva riferito di avere preparato dei dossier su tutte le operazioni ”torbide” Apsa. Ma poi è stato Scarano a riferire ai pm di Roma di speculazioni milionarie gestite dall’Amministrazione. In particolare di conti Apsa intestati a società fiduciarie estere lussemburghesi o monegasche. Poi altri affari, come i depositi a sei zeri su banche italiane attraverso conti Apsa: i conti venivano spostati da un istituto all’altro in base al rendimento, ma tutto sfuggiva al fisco. Tutte situazioni gestite dal numero uno dell’Apsa, Paolo Mennini, almeno secondo Scarano e delle quali, lo stesso monsignore, difeso dagli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Silverio Sica, ha detto di avere parlato al cardinale Tracisio Bertone.

SOLDI A BEIRUT
Davanti al gip Barbara Callari, Scarano, che adesso spera di essere scarcerato dal Tribunale del Riesame, aveva ricostruito l’operazione per la quale è finito in manette con l’accusa di truffa e corruzione. I 20 milioni di euro che, secondo i pm e il monsignore, sarebbero stati il frutto di un’evasione fiscale da 41 milioni degli armatori D’Amico, affidata al broker Giovanni Scarano. Soldi che dalla Svizzera dovevano finire su un conto Ior per evitare i controlli antiriciclaggio, grazie all’intervento dello 007 Giovanni Zito. Adesso Scarano sostiene che quel denaro dovesse volare a Beirut: «I 41 milioni dovevano andare a Beirut, perché è un paradiso fiscale».