“La rottura dell’Euro potrebbe essere vicina” - da giornalettismo.com di Andrea Mollica 21/05/2013 -
Secondo il Wall Street Journal una frantumazione dell'unione monetaria potrebbe verificarsi in modo repentino, come successo nella crisi argentina
Il momento di svolta per l’eurocrisi potrebbe essere più vicino di quanto si pensi. La fiducia nella moneta unica è ancora alta, ma come la storia insegna, la volontà di sacrificio mostrata finora dalle popolazione dei paesi più colpiti dalla disoccupazione e dei tagli potrebbe rapidamente sgretolarsi, spingendo i loro governi all’addio alla moneta unica.
PUNTO DI ROTTURA - Il Wall Street Journal si interroga su quanto sia probabile, e vicino nel tempo, una rottura dell’euro. In questo momento la situazione dei paesi più colpiti dalla crisi dei debiti sovrani, scoppiata ormai più di tre anni fa, è drammatica. La disoccupazione in Spagna si trova al 27%, i giovani irlandesi o portoghesi abbandonano i loro paesi in cerca di un lavoro impossibile da trovare in patria, ed un quarto dei greci dice che fa fatica ad acquistare il cibo. Nonostante uno scenario così cupo, il quotidiano finanziario evidenzia come non esista un piano d’emergenza per far sì che queste persone possano recuperare il loro posto di lavoro. In questo momento gli stati della periferia dell’unione monetaria devono proseguire la riduzione delle loro spese statali, abbassare i salari e comprimere i prezzi dei loro prodotti, al fine di recuperare la competitività perduta. Secondo uno studio di Goldman Sachs la contrazione economica del Sud Europa potrebbe durare altri dieci anni.
SVOLTA PER L’EURO - L’impatto devastante della crisi sulle società europee pone ancora una volta l’interrogativo sulla capacità di sopportazione delle popolazioni. Le proteste contro le politiche di austerità perseguite da tutti i paesi in eurocrisi sono state anche massicce, ma finora nessuno stato membro dell’unione monetaria è stato seriamente tentato dall’abbandonare la valuta in circolazione da 11 anni. L’ultimo sondaggio del Pew Research Center ha evidenziato come più del 60% dei greci, degli spagnoli, degli italiani e dei francesi voglia mantenere l’euro. La moneta unica è dunque ancora popolare all’interno del Vecchio Continente, nonostante una situazione socialmente ed economicamente ai livelli dell’insostenibilità. “Chi aveva pensato che la Grecia avrebbe lasciato l’unione valutaria l’anno scorso ha sottovalutato la prontezza degli europei a sopportare una situazione di grave disagio negli anni. Però la pazienza ha prima o poi una fine”, rimarca il Wall Street Journal.
CASO ARGENTINO - Secondo Simon Tilford, capo economista del Center for European Reform, le conseguenze immani dell’uscita dall’euro hanno finora bloccato un simile passo. Tilford però evidenzia come ciò sia vero fino quando le persone non si accorgeranno che la proverbiale luce in fondo al tunnel sia completamente assente. In quel caso, tutto diventerebbe possibile, ed l’eventuale addio alla moneta unica potrebbe concretizzarsi molto rapidamente. Il Wall Street Journal evidenzia come una simile svolta non sarebbe un’assoluta prima volta, visto che qualcosa di simile è già successo in Argentina. Il paese sudamericano aveva agganciato la sua moneta al dollaro, al fine di combattere l’iperinflazione degli anni ottanta. Il cambio fisso di 1 a 1 del peso con la valuta americana determinò però un significativo aumento dei prezzi, ed una rapida perdita della competitività dell’economia argentina. L’aggancio al dollaro impediva la caduta del peso, al fine di effettuare una svalutazione competitiva capace di ridare spinta al sistema produttivo in crisi, una situazione simile a quanto sta succedendo nel Sud con l’euro forte. Secondo gli economisti l’abbandono del cambio fisso che aveva stabilizzato l’economia argentina avrebbe prodotto contraccolpi così rilevanti da sconsigliarlo, una convinzione condivisa sia dalle classi dirigenti che dalla popolazione.
SIMILITUDINI E DIFFERENZE - Uno dei problemi più significativi dell’addio al “peso convertibile” era rappresentato dal debito estero, che era stato siglato in dollari. Dopo tre anni di recessione però il paese sudamericano decise che era preferibile pagare questo prezzo – con il relativo default effettuato – piuttosto che rimanere “intrappolati” in una situazione economica senza via d’uscita. Le rivolte del ceto medio a fine 2001 spinsero ad un mutamento repentino, e nell’ano successivo l’Argentina compì il passo che aveva scongiurato negli anni precedenti di crisi. Il Wsj evidenzia alcune similitudini tra la crisi del paese sudamericano e quanto è avvenuto in Europa. La recessione argentina aveva provocato una contrazione del Pil pari a otto punti rispetto al suo valore massimo precedente; un dato identico a quanto si dovrebbe registrare in Italia ed in Portogallo a fine 2013, mentre la ricchezza nazionale della Grecia si è contratta di ben 23 punti percentuali. Un dato assai superiore a quanto successo in Buenos Aires, che ha travolto sì la società ellenica ma non l’ha ancora spinta a prendere la strada dell’addio. Come sottolinea il quotidiano finanziario newyorchese, l’Argentina non è un modello dell’Europa, ma un esempio che lancia un monito.
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